Commento Liturgia
Catechesi
IL VANGELO DELLA DOMENICA
commento di don Fabrizio
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XXIII Domenica del T.O. – Anno B
Dalla lettera di san Giacomo apostolo (Gc 2,1-5)
Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali. Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi? Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 7,31-37)
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!»
Signore Gesù, oggi siamo tutti noi nella condizione del sordomuto che i suoi amici ti hanno portano per ricevere una benedizione. Vogliamo anche affidarti la sofferenza di quell’uomo e di coloro che la vivono perché deve essere terribile non udire e non potersi esprimersi. Noi non siamo fisicamente in questo dolore, ma ci sentiamo profondamente imprigionati, isolati e in silenzio verso una storia piena di cattive notizie, di lutti, di violenze impiegabili. Il mondo di oggi sembra soffocarci nella reciproca chiusura dentro se stessi. Sordomuti lo siamo anche noi quando non vogliamo sentire più nulla, né parlare e comunicare con nessuno. E’ il dramma della solitudine quando ci sembra che sia la soluzione più protettiva e sopportabile.
Poi oggi arrivi Tu con questo esempio, quello di un «rito» che nessuno si aspettava. A tutti i presenti bastava il tocco della tua mano, qualche parola e poi di nuovo a casa, ciascuno nella propria condizione. E invece oggi Tu con liturgia di guarigione che la Chiesa ha anche posto a sigillo del Battesimo appena dopo il rito della Luce e prima della preghiera del Padre Nostro.
Il tuo «Effatà», cioè «Apriti» è qualcosa di potente che ci rintraccia tutti nei dirupi interiori, negli anfratti silenziosi della nostra anima. Siamo di nuovo tirati fuori nel ricordare che un tempo un tuo Celebrante ci toccò con il pollice, le orecchie e le labbra appena fummo battezzati, dicendo:
«Il Signore Gesù, che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda di ascoltare presto la sua parola, e di professare la tua fede, a lode e gloria di Dio Padre».
Sembra quasi che il bambino appena diventato figlio di Dio, come tutti noi, abbia ricevuto il dono dell’«innaffondabilità» esistenziale. Oggi ti chiediamo un supplemento di potenza dall’alto perché la luce che si è accesa nel nostro Battesimo, risplenda nella mente, ed impastandosi nel cuore, ridiventi nuovamente fede vissuta. A fine Messa il Padre Nostro, ci ricordi che questa preghiera fu la nostra prima professione di Fede: il nostro Credo in Dio detto appena nati, con la candela in mano al padrino e alla madrina!
Di questo, Signore Gesù abbiamo bisogno nella nostra nottata di solitudine e separazione dal mondo. Abbiamo bisogno di guarire nel profondo della nostra sfiducia e di sentire la tua benedizione presente in questo Vangelo dove sentiamo il profondo sospiro che tu fai sul sordomuto mentre guardi il cielo che hai creato. «Effatà, cioè Apriti» sia il soffio di vita che di nuovo ritorna in noi. Quel gemito di amore soffiato in quell’aria che hai respirato e che è entrata nei polmoni tuoi, circolata così vicino ai battiti del tuo cuore umano, torni ad avvolgerci.
Signore soffia su di noi le tue grazie, effondi speranza, fiducia e carità. Riempi le nostre vite che sono sorde alla tua presenza e mute verso i bisogni dei fratelli. Dacci il nuovo rito ogni giorno per uscire dalla prigionia del nostro egoismo. La nostra vita si strutturi ed organizzi nell’amore, come una liturgia che libera altre vite dalla tristezza, e che le renda serene, felici e piene di nuova speranza.
Signore il tuo «Effatà» sia la nostra luminosa vicinanza verso tante anime fragili e depresse che hanno bisogno anche di noi per disarmarsi dall’odio. Signore fai in modo che nessuno strumento di morte si impossessi mai più di vite umane così scoraggiate e ferite che non avendo più nulla da sperare, tolgono con leggerezza ad altri quel poco che gli rimane, compresa la vita fisica, che una volta recisa lascia nella disperazione soprattutto chi rimane in vita da solo, ma uccisore compreso. Signore soffia su questa Assemblea, l’«Effatà, Apriti», Amen!
Sia lodato Gesù Cristo